Può un buon leader non essere anche un buon comunicatore? La risposta sembra scontata (in teoria) ma non lo è nella pratica. La frequentazione di CEO, Amministratori Delegati, Imprenditori di varia estrazione culturale e natura ci mostra spesso leader che non hanno la minima consapevolezza del valore della comunicazione, sia nei confronti del “cliente interno” che in quelli del “cliente esterno” dell’impresa.
La leadership, all’interno, viene esercitata attraverso leve che sono ben lontane dall’utilizzo efficace del linguaggio e che, sebbene passino per qualità quali la credibilità personale e l’autorevolezza, non hanno alcun vero potere persuasivo nei confronti delle persone (e per persuasivo intendo “ideomotorio”, ovvero capace di influire sulle azioni successive delle persone). L’autorità è vissuta come un “pacchetto chiuso” che viene consegnato agli altri (e da loro preso) così come è (e qualche volta discusso e combattuto, ma solo nei corridoi dell’Azienda o nel borbottio tra colleghi).
La comunicazione dell’Azienda all’esterno viene lasciata esclusivamente al marketing (se esiste) e alle vendite, non sentendo, il leader, alcuna necessità di essere “narratore in prima persona” della storia aziendale, della sua mission e della sua vision. Rari sono i casi nei quali – all’interno – il leader non comunichi soltanto per sottolineare “ciò che vuole che gli altri facciano” o il proprio disappunto perché “gli altri non fanno ciò che lui vorrebbe”. Parallelamente, all’esterno, la sua comunicazione diventa da super-venditore, concentrata sul vendere sempre, comunque e a chiunque la propria impresa, spesso solo attraverso la spiegazione articolata della bontà dei propri prodotti.
Interessante sarebbe comprendere, invece, che la dimensione narrativa di ciò che viene comunicato influisce fortemente sull’effetto ottenibile sugli interlocutori. Un effetto molto potente sull’ambito cognitivo delle persone e sulle aree del cervello che sono deputate a prendere decisioni in relazione all’attuazione o meno di direttive o all’acquisto di un prodotto.
Leader carismatici quali Steve Jobs, Richard Branson, Anita Roddick sono o sono stati grandi tessitori di narrazioni coinvolgenti e artisti nella narrazione della propria idea imprenditoriale, del proprio brand e della propria vision. Cosa ci possono insegnare?
Sostanzialmente tre cose. La prima riguarda la dimensione del racconto: ossia la capacità di mescolare “big picture” e piccole storie del quotidiano aziendale, eventi apparentemente marginali ma di forte impatto sul piano emozionale, per creare adesione nei confronti della loro idea imprenditoriale.
La seconda investe la capacità di creare uno sfondo, una sorta di texture, sulla quale far risaltare la loro narrazione in modo che le storie narrate possano essere sempre ricondotte a un’unica idea di fondo (che è poi la vision dell’Azienda). La terza riguarda la pratica. L’arte dello storytelling si apprende. Può essere più o meno innata, vi sono persone che sono maggiormente predisposte ma l’apprendimento delle tecniche di fondo e il costante esercizio sono gli unici due veri segreti di quest’arte antichissima e attualissima allo stesso tempo.
Quindi, buoni comunicatori si nasce o si diventa? Si diventa.
Sull’argomento, rimando al:
CORSO: COMUNICAZIONE PERSUASIVA E IPNOSI VERBALE PER UNA LEADERSHIP EFFICACE (LEADERSHIP BY COMMUNICATION)