Grazie alla recentissima riedizione dei romanzi di Maurice Leblanc, ad opera del Corriere della Sera, sto rileggendo di settimana in settimana le avventure di Arsenio Lupin.
Potere mediatico del cinema e della televisione (nonché dei cartoni animati), Maurice Leblanc, che ha inventato il personaggio letterario del “ladro gentiluomo”, è stato superato in notorietà proprio dalla sua stessa creatura, tanto che, se tutti ricordano il personaggio, quasi nessuno ricorda più l’autore.
Ed è un peccato perché Maurice Leblanc scrive bene e scrive scortato dalla profonda conoscenza del romanzo d’appendice, del fouilletton, quello dei Dumas e di Sue, che tanto aveva appassionato il pubblico per tutta la seconda metà dell’Ottocento. Ma avendo evidentemente digerito molto bene la lezione del romanzo d’appendice (del quale conserva alcuni topoi, soprattutto per quanto concerne la costruzione ripetitiva del canovaccio che sta alla base di ciascuna avventura), la fa evolvere in direzione di una modernità che oggi ritroviamo, pari pari, nelle varie serie televisive e a cui non sfuggono gli americani (CSI, Lost, E.R. ecc.) e nemmeno gli italiani (dal Maresciallo Rocca al Commissario Montalbano).
Ciò che maggiormente balza all’occhio, rileggendo i romanzi di Leblanc, è la diversità del protagonista, il personaggio, così diverso in letteratura rispetto alla personificazione che il cinema ne ha dato attraverso la figura dei vari interpreti. Questa differenza è dovuta soprattutto a un paio di fraintendimenti su Arsenio Lupin: il primo riguarda la traduzione della definizione che dà Leblanc del suo eroe “Gentleman cambrioleur”.
In italiano la valenza è quella del ladro gentiluomo in marsina, cilindro, monocolo, frac e guanti bianchi che, con passo di danza, sfila un collier, apre una cassaforte, sostituisce il capolavoro della pittura con una crosta di nessun valore. In realtà il “cambrioleur” è, in francese, lo scassinatore, quello con il piede di porco e la mascherina alla Banda Bassotti, la pala per scavare il tunnel sotto il deposito di Paperon de’ Paperoni. Niente di poetico, niente champagne, cristalli, pizzi e merletti ma il capobanda di una squadra di malviventi che egli controlla e dirige per derubare i malcapitati (perlopiù nobili in decadenza o borghesi arricchiti).
Vero è che l’ambiente in cui egli si muove è proprio quello del salotto buono e non della rapina a mano armata alla banca, e che gli artifici messi in atto dal geniale furfante sono talmente macchinosi e cervellotici da far letteralmente impazzire il povero ispettore di polizia che non perde occasione per fare la figura dell’imbecille. Lo stesso topos letterario lo ritroviamo in Diabolik molti anni dopo, e in alcune strisce della Marvel col rapporto ambiguo che alcuni Supereroi hanno con la giustizia costituita. Batman e l’Uomo Ragno, ma anche Phantomas e l’Uomo Mascherato ne sono chiari esempi, sempre al limite tra l’ammirazione e il sospetto che nutre una giustizia lenta e ottusa, nei confronti della rapidità di azione e dell’inevitabile successo dell’operato del supereroe, invidiato e quindi naturalmente osteggiato dai mediocri.
La diversità tra personaggio cinematografico/televisivo e personaggio letterario è da attribuirsi soprattutto alla figura degli interpreti cinematografici (Lamureux per il cinema e Descriers per la tv): entrambi gli attori sono eleganti e baffardi, con un sorriso cinico sempre dipinto sul volto, affascinanti e attraenti. Prestano il volto a un personaggio lievemente decadente, blasé e snob, più simile a un antieroe decadente che al superuomo niciano, di cui il Lupin letterario vuole essere l’incarnazione. Infatti Lupin, è proprio questo: un uomo, o meglio un ragazzo, dotato di energia superiore, di volontà di azione straordinaria, e che grazie a queste caratteristiche vuole raggiungere il Potere, quello con la P maiuscola.
Il cinema ha infine totalmente stravolto il rapporto che Lupin ha con le donne. Necessariamente semplificato l’ambito psicologico in cui si muove il personaggio, le donne cadono ai suoi piedi per la sua classe, il suo aspetto affascinante, lo sfoggio di denaro speso con assoluta leggerezza e noncuranza. Nei romanzi, il rapporto è certamente più complesso e articolato. Ed è strettamente connesso con la visione di Nietzsche (e la sua relativa stima per l’intelligenza femminile). La personalità di Lupin soggioga, infatti, perché egli è il Superuomo, la sua energia travolge tutto e tutti (ma soprattutto tutte). Ben riassume questa mia affermazione la descrizione che Leblanc stesso fa del suo eroe, visto dagli occhi di una donna nel romanzo “La Contessa di Cagliostro”: “Ella lo vide più grande di quanto non sembrasse e più potente, meglio dotato degli altri uomini, che aveva conosciuto, armato di uno spirito più sottile, di uno sguardo più acuto, dei mezzi d’azione più diversi. Essa si inchinò di fronte a quella volontà implacabile e davanti a quella energia che nessuna considerazione avrebbe potuto piegare… Un po’ di audacia, delle idee chiare, della logica, la volontà assoluta di puntare verso il proprio fine come una freccia”.