Uno degli errori più frequenti che commettiamo quando ci relazioniamo con gli altri o dobbiamo risolvere problemi, è dovuto a un auto-inganno del quale, razionalmente, tutti ci rendiamo conto ma che poi, nella pratica, tendiamo a dimenticare: ossia che esista una realtà oggettiva e che sia sufficiente esaminarla per riconoscerla. Da ciò di solito si deduce che questa “realtà oggettiva” sia uguale ed evidente per tutti nello stesso modo, escludendo a priori che dipenda, piuttosto, dal punto di vista personale di ciascuno.
Così, quando comunichiamo o valutiamo i comportamenti altrui, diamo per scontato che la situazione, la realtà che ha generato quell’opinione o quel comportamento, sia talmente chiara e lampante da non poter essere oggetto di dubbio. Quando diciamo “ma è evidente”, dimentichiamo di aggiungere “a me”. O meglio: “questa realtà è così per come la vedo io”.
I filtri di decodifica della realtà (e dei messaggi che ci arrivano dagli altri) operano nella mente a partire da tutti gli elementi culturali, esperienziali, emozionali, cognitivi e percettivi patrimonio di ciascuno. E gli stessi filtri agiscono quando ci troviamo di fronte a una difficoltà da superare o a un problema da risolvere. Istintivamente valutiamo il problema (problem setting) attraverso i filtri della nostra cultura, dell’esperienza, dei pregiudizi e così via e, in seguito a questa valutazione, decidiamo se il problema è irrisolvibile, risolvibile o se si tratta di un falso problema.
Si tratta di un tema centrale nell’ambito del problem solving: il problema non esiste in quanto tale e in modo oggettivo, dipende il più delle volte dalla persona che lo valuta e che tenta di risolverlo.
Se il problema è “negli occhi di chi lo valuta”, e la tendenza naturale della nostra mente è volta a oggettivizzare il problema stesso (ma sempre, in realtà, dal proprio punto di vista), assecondare questa tendenza può distorcerne l’essenza e i contorni e la conseguente applicazione di misure, comportamenti e soluzioni atti a risolverlo. Inoltre, ad aggravare la situazione, non possiamo ignorare la tendenza della nostra mente ad affezionarsi alle proprie convinzioni e poi a resistere, all’atto di metterle in discussione.
Spesso i problemi sono semplici difficoltà, le soluzioni impossibili semplicemente perché confondiamo la capacità di pensare a una soluzione con la capacità di pensare in modo diverso a quella soluzione: ossia cambiare “punto di vista”.
L’anamorfismo, tecnica pittorica e scultorea nata nel Cinquecento, crea illusioni ottiche basate sulla percezione visiva di oggetti bidimensionali o tridimensionali in base al punto di vista dal quale li si osserva. Oltre ad affascinare per la perizia, questa tecnica è capace di creare stupefacenti “effetti speciali”, e nel corso della storia è stata usata più volte per nascondere messaggi simbolici all’interno di dipinti apparentemente “neutri” sul piano del significato. Fino ai giorni nostri, dove l’anamorfismo è diventato una stupefacente forma espressiva dello streetpainting 3D (in copertina un’opera di Leon Keer).
Un esempio tra i più noti è quello del dipinto di Hans Holbein “Ambasciatori” del 1533. In questo caso la figura che appare in basso al centro non è altro che l’anamorfosi di un teschio: simbolica allusione al trionfo della morte su tutte le attività umane richiamate dalla rappresentazione degli strumenti della scienza e dell’arte.
Appare evidente che la percezione del disegno nascosto dipenda dal punto di vista dal quale osserviamo il dipinto, così come nell’immagine di copertina dell’articolo, i Guerrieri di Terracotta in formato Lego, sono visibili come effetto 3D guardando l’opera solo e soltanto da un certo punto di vista, diversamente sarebbe impossibile apprezzarne l’apparente tridimensionalità e addirittura il senso.
A noi, che ogni giorno siamo chiamati a risolvere problemi e a relazionarci con gli altri, l’anamorfismo offre un interessante spunto di riflessione e un costante richiamo alla necessità di cambiare spesso punto di vista quando si affronta una realtà che a noi pare assoluta o quelle opinioni degli altri che a noi sembrano assurde e totalmente lontane dalla (nostra) realtà.