Talento. Parola quantomai sfuggente e (qualche volta) usata a sproposito. Etimologicamente risale al greco e significava piatto della bilancia, peso, somma di denaro. Qualcosa di prezioso e di notevole (nell’Antica Grecia un talento corrispondeva a un chilogrammo di argento) e quindi anche di raro. Oggi il significato è traslato sulle qualità naturali della persona e non sulle competenze acquisite. E’ qualcosa di “naturale” che distacca chi lo possiede, dalla media. I talent show l’hanno chiamato X FACTOR e in molti altri modi, a noi interessa capire se in azienda viene ricercato, come riconoscerlo e se, una volta individuato viene incoraggiato o emarginato.
A parole viene ricercato da tutti, nella pratica non sempre viene valorizzato anzi, qualche volta è un elemento che emargina chi lo possiede. Purtroppo, al di là delle dichiarazioni di intenti, un “fuoriclasse” in un team di lavoro o in una struttura gerarchica può risultare scomodo, ingombrante e rischioso se, chi sta sopra, tiene maggiormente alla solidità della propria posizione piuttosto che al bene dell’Azienda. Nel team mette in ombra gli altri e quindi non è mai veramente “parte” del gruppo. Due gli effetti: in qualche caso la persona di talento lascia perché sente di non poter esprimere pienamente le proprie capacità, in altri casi si adegua verso il basso, ossia nasconde il proprio talento dietro uno schermo di mediocrità. Molto importante, in questo caso, il ruolo e lo stile di chi governa il gruppo. Deve essere capace, infatti, di lasciar esprimere appieno le capacità del fuoriclasse senza creare sentimenti negativi negli altri e divisione nel gruppo stesso.
A dispetto dell’etimologia del termine, però, il talento è spesso impalpabile e difficile da riconoscere all’atto di un colloquio di lavoro o, all’interno di una struttura aziendale tra le persone che ne fanno già parte. Vediamo allora qualche elemento che lo identifica, per imparare a riconoscerlo subito quando si presenta.
La prima caratteristica è la predisposizione a vedere soluzioni anziché problemi. Focalizzazione sui risultati (tipica dell’uomo di talento), significa vedere le difficoltà ma porsi attivamente in prima persona per superarle. E aiutare colleghi e azienda a trovare le migliori e più praticabili.
La seconda caratteristica riguarda l’orientamento al fare. Il venditore che non esce dall’azienda a visitare nuovi clienti finché non gli viene consegnato il “perfetto database dei contatti”, che si preoccupa prima della provvigione o che vende di preferenza il prodotto che gli permette di ottenere una provvigione più alta a discapito della gamma, il manager che si occupa solo delle persone che ritiene adatte e lascia indietro i “problematici”, non sono esempi di talento. Fare prima di recriminare e chiedersi sempre “cosa faccio io per l’azienda” prima di concentrarmi su “che cosa l’azienda dovrebbe fare per me” è, invece, un indice inequivocabile.
Costante voglia di crescere e di imparare (dai migliori o dall’aggiornamento professionale), consapevolezza di non essere mai “arrivato” davvero, costante focalizzazione sul “qui e ora” e quindi preoccupazione di raggiungere il risultato ogni giorno come se fosse l’ultimo, nonché apertura verso il cambiamento (ovvero nessuna paura di uscire dalla propria zona di confort se le circostanze lo richiedono) completano, a mio avviso, il profilo dell’uomo di talento.