Per secoli (e ancora oggi in molti casi) si è inteso il processo formativo di un individuo in un senso che va da un punto “zero” a un punto più alto (non importa quale), con un movimento lineare verso il meglio e una logica di tipo cumulativo. Da poca esperienza a tanta esperienza, da poche nozioni e a molte nozioni. Che il materiale da acquisire si trovi all’interno o all’esterno della persona, o che la conoscenza sia basata sull’interazione tra “interno ed esterno” come vuole la posizione costruttivista, poco importa.
La direzione è sempre da meno a più, dall’inadeguato all’adeguato, dall’ignoranza alla sapienza. L’apprendimento è visto come progresso e deve rispettare, per ottenere i risultati attesi, una rigida sequenza lineare (che è quella che governa anche il sistema istituzionalizzato dell’apprendimento scolastico).
L’esperienza con la formazione degli adulti, invece, offre uno scenario dove l’apprendimento appare molto più tortuoso e molo meno lineare. Il terreno diventa spesso sconnesso e la linearità delle tappe percorse perde la sua logica tranquillizzante spingendo in avanti o riportando indietro a visitare territori dell’apprendimento ormai dimenticati e, qualche volta, peggiorando e non migliorando la condizione di chi lo percorre.
Imparare cose nuove, non sempre porta giovamento almeno tanto quanto l’abbandonare o demolire alcune certezze consolidate può essere molto utile per progredire. Qualche volta il processo dell’apprendere, invece, non porta alla salita di un gradino ma semplicemente all’allargamento di alcune prospettive, alla costruzione mentale di una diversa visione di se stessi e del mondo, proprio come accade a un adolescente che si affacci alla vita adulta.
Vien quindi da dire, parafrasando Jaan Valsiner, che l’apprendimento è un processo fondamentalmente imprevedibile, multidimensionale e non lineare, caratterizzato da mutazioni continue e non dalla stabilità, sede e fonte di nessi causali circolari, retroazioni di vario genere e gerarchie molto intricate.
Ma non si tratta solo di un esercizio filosofico: se si assume come vera questa visione del processo dell’apprendimento, si deve mettere in discussione qualsiasi struttura che si basi, invece, sull’apprendimento per accrescimento e accumulazione di nozioni.
E questo impatta senza ombra di dubbio sul “significato” dell’apprendere e quindi sulla motivazione di chi è chi è chiamato a farlo: se il bambino impara per istinto naturale, con una forza interiore volta a comprendere prima di tutto il significato delle cose che lo circondano, questo fatto è stato istituzionalizzato nell’apprendimento scolastico partendo sempre dal presupposto (non dimostrato per gli adulti) che questa “forza naturale” sia sempre e perennemente in azione. Il processo di apprendimento dovrebbe proseguire, così, indipendentemente dalla sua perdita di significato per l’apprendista, anche quando l’oggetto dell’apprendere non sia più legato in alcun modo alla pratica della vita. Formando adulti, al di fuori del percorso scolastico istituzionalizzato, ci si rende conto facilmente che l’adulto è spesso recalcitrante all’apprendere e pretende inconsciamente (o consapevolmente) rispetto per l’autonomia dei suoi processi cognitivi. Questo si traduce, in pratica, nella necessità continua di fornire un “senso” all’apprendimento per la persona chiamata a farlo e la creazione di un rapporto consapevole con il sapere, sia in termini di contenuti che di applicabilità pratica alla sua vita personale o lavorativa.