Parlando di autostima non possiamo prescindere dal grande inganno di cui tutti siamo vittime (più o meno consapevoli): autostimarsi prevederebbe, infatti, un’auto-valutazione oggettiva, cosa di per se in contraddizione palese. Ne consegue, quindi, che l’autostima dipende, in gran parte, dagli altri. Ovvero da come noi pensiamo che gli altri ci stimino.
Per mantenere elevata quella che definiamo “autostima” non lavoriamo su di noi. Più spesso ci conformiamo alle altrui aspettative, perdendo di vista, di fatto, ciò che ci piacerebbe fare o come vorremmo essere. Recitare un ruolo conforme a ciò che gli altri si aspettano da noi, da un lato ci spersonalizza, dall’altro ci fa male, quando questo ruolo non ci assomiglia.
Per determinare la nostra autostima, quindi, passiamo molto tempo a guardare gli altri, confrontandoci con loro. Lo scrutare gli altri ci impone, in molti casi, un cambiamento di abitudini, convinzioni, autovalutazioni proprio dovuto al confronto con ciò che noi vediamo degli altri (spesso distante da ciò che gli altri sono davvero). Anche perché gli altri sono soliti mettere in mostra ciò che vogliono si veda e nascondere ciò che ritengono sia meglio tenere nell’ombra (come d’altra parte facciamo noi): come in una rappresentazione teatrale, noi osserviamo maschere e costumi, non la vera essenza degli altri. Quando guardiamo gli altri, inoltre, operiamo una “selezione automatica”, ossia scegliamo discrezionalmente coloro che (a nostro avviso) sono “degni di osservazione” e quindi di emulazione e, in alcuni casi, di invidia. Se questo vale nella vita reale, immaginiamo quanto sia potente nei meccanismi ingenerati dal mondo “social”, dove ancora di più la rappresentazione scenica è il distillato di ciò che gli altri vogliono comunicare ai propri “seguaci”.
Definire il proprio status di felice/infelice basandosi su questo confronto, ci espone a enormi rischi: proprio per la selezione automatica che operiamo, il confronto con gli altri non ci permette di posizionarci correttamente sulla scala della felicità/infelicità (c’è sempre qualcuno che ci appare più fortunato, abile, bello, stimato, osannato ecc.). In secondo luogo, come abbiamo detto, gli altri ci espongono solo il lato migliore (o quello che loro stessi ritengono essere il loro lato migliore) quindi il confronto è già viziato alla base.
In terzo luogo (e qui sta la semplice soluzione per uscire da questa spirale), perdendo tempo a scrutare la vita degli altri, inevitabilmente, non dedichiamo tempo a valutare oggettivamente la nostra. Pensando a ciò che ci manca, non pensiamo a ciò che non ci manca. Non lavoriamo su noi stessi, non lavoriamo per migliorare e per ridurre i nostri limiti (culturali, caratteriali, naturali) ma viviamo un costante senso di inadeguatezza o di emulazione verso modelli soggettivi e non oggettivi, verso maschere, trucchi e costumi che rappresentano non già l’essenza degli altri ma soltanto la loro rappresentazione.